“Il mondo non ha bisogno di un altro linguaggio orientato agli oggetti”. Quando tutto ebbe inizio, fu facile sminuire la portata di questo linguaggio ritenuto non necessario. Lo fece anche John R. Rymer, analista di settore, che scoprì Java mentre lavorava per Giga Information Group, in un’epoca dominata dai colossi SmallTalk e C++. Tuttavia, il linguaggio Java e la piattaforma enterprise costruita intorno a esso, sarebbero diventati componenti essenziali dello stack tecnologico aziendale per molti anni.
In occasione del 20esimo anniversario della nascita di Enterprise Java che ricorre questo mese, faremo un viaggio nel tempo per analizzare l’impatto di questa piattaforma a livello mondiale, dagli anni di J2EE (Sun Microsystems) e di Java EE (Oracle), fino all’odierna Jakarta EE (Eclipse Foundation). Dopo aver messo in luce innovazioni e traguardi raggiunti e condiviso riflessioni di esperti sulla direzione futura della piattaforma, oggi desideriamo farvi conoscere il punto di vista dei colleghi e dei membri della vasta community Java che non ne sono stati soltanto influenzati, ma che hanno anche contribuito alla sua realizzazione. Rymer, che riveste attualmente il ruolo di vicepresidente e principal analyst di Forrester Research, Inc., è tra coloro che ritengono che la storia di Enterprise Java, fatta di continui risvolti inaspettati, abbia avuto inizio ancor prima della nascita della piattaforma.
Il linguaggio Java fa capolino nell’era del web
Il linguaggio di programmazione Java è nato a metà degli anni ‘90, in concomitanza della progressiva affermazione del World Wide Web. “Avevamo a disposizione moltissime informazioni del tutto nuove sul web”, afferma Rymer. “Si parlava molto di browser e del nuovo protocollo HTTP e iniziavano ad affacciarsi numerose tecnologie innovative. Pochissime persone avevano veramente capito che si trattava di una nuova era del software”.
Per Mark Little, l’impegno in Java e successivamente in J2EE costituiva un’evoluzione naturale del lavoro che stava già svolgendo sui sistemi distribuiti di oggetti transazionali in seno a un gruppo di ricerca presso la Newcastle University. “Java è arrivato al momento giusto per me e per molti miei colleghi. Avevamo trascorso tanto tempo su C++, che stava diventando il linguaggio orientato agli oggetti dominante”, ricorda. Tuttavia, nel momento in cui le aziende iniziavano a prendere coscienza sia di Java che del web, il gruppo di ricerca ha iniziato a virare verso il nuovo linguaggio per poi proseguire il lavoro fuori dall’Università, al fine di creare un'azienda intorno a esso.
Little, che riveste attualmente la carica di Vice President of Middleware Engineering di Red Hat, all'epoca si occupava a tempo pieno di transazioni con l’Object Management Group (OMG). Inoltre, era il rappresentante universitario della specifica Object Transaction Service (OTS), nonché presidente degli Additional Structuring Mechanisms per il gruppo di lavoro e la specifica OTS. “Quando Java, e poi J2EE, hanno fatto la loro comparsa, i vendor dell’epoca hanno reso possibile la mappatura di Java nell’OMG per garantirne il supporto in CORBA, la piattaforma middleware cross vendor di maggior successo di quei tempi. Non sorprese dunque che J2EE risentisse inizialmente della forte influenza di CORBA. Fu da quel momento che crebbe la mia partecipazione”.
Andrew Binstock, analista di mercato di lunga lena e attuale editor di Java Magazine, trovò la comparsa di Java un evento naturale. “La portabilità di UNIX, che all’epoca appariva incredibilmente elusiva, sembrava incoraggiante”. Java iniziava a prendere il posto dei linguaggi di programmazione di quarta generazione (4GL), che rappresentavano i principali linguaggi di scrittura delle applicazioni portabili dell’epoca.
Binstock non è stato il solo a riconoscere sin dall’origine il potenziale di Java. L’analista di settore Maureen Fleming
scoprì Java quando fu annunciato da Sun e successivamente iniziò a occuparsene in modo più approfondito frequentando corsi serali presso un college locale. Come sottolinea Fleming, in quel periodo “Java era ormai considerato un argomento di livello “avanzato” e non un argomento introduttivo alla programmazione e alla base degli studi di scienze dell'informazione”.
“Ho iniziato a studiare Java il giorno stesso in cui è stato annunciato pubblicamente”, afferma John Clingan, che attribuisce a questa esperienza il merito di averlo aiutato a diventare product manager di Java EE anni dopo. Oggi è fortemente impegnato nelle attività della community Enterprise Java, riveste il ruolo di product manager per i prodotti Java in Red Hat ed è committente del progetto MicroProfile. “Java non mi ha solo offerto opportunità in ambito professionale: è ciò su cui ho costruito la mia professione”.
L’ottimismo iniziale intorno al linguaggio Java collide con ciò che Binstock notò a poco tempo dalla nascita della piattaforma Enterprise Java. “Alcuni aspetti mi spinsero a chiedermi se J2EE avrebbe effettivamente preso piede”, afferma, facendo riferimento alla notevole complessità e all’eccezionale aspetto rivoluzionario della tecnologia. “Si trattava di una tecnologia del tutto innovativa dal punto di vista concettuale e ci volle molto tempo per capire esattamente a cosa servissero tutti i componenti, in che modo potessero incastrarsi e come fosse possibile utilizzarli per creare applicazioni ad hoc. Si trattava piuttosto di un’intera disciplina fine a sé stessa che sembrava molto distante dal linguaggio Java che avevamo conosciuto negli ultimi anni”.
Davanti a tali sfide, Binstock pone l'accento sullo straordinario sviluppo della community Enterprise Java che ha contribuito in larga misura al successo della piattaforma. “Quando Java ha fatto la sua prima comparsa, non fu per niente chiaro che J2EE avrebbe dominato la scena. Si è poi scoperto che la forza della piattaforma Java era l'azienda”.
I numeri parlano chiaro: la community Enterprise Java cresce a vista d’occhio
Sin dal suo lancio, avvenuto nel 1999, intorno a Enterprise Java si è sviluppata un’ampia community che, nel corso del tempo, ha apportato nuove idee e innovazioni alla piattaforma. Fleming ha osservato come i vari membri della community hanno offerto il proprio contributo e la propria influenza alla crescita della piattaforma negli anni. Tra di essi, ci sono i diversi vendor che si occupano della creazione di prodotti Java e “coloro che puntano alle varie evoluzioni di Java, introducendo nuovi framework e nuovi approcci”. Come osserva l’esperta, questo lavoro viene “spesso svolto in collaborazione con aziende che hanno le medesime esigenze evolutive”.
In realtà, contestualmente alla crescita dell’ecosistema intorno a Enterprise Java, emergevano numerose opportunità di innovazione e sviluppo della piattaforma. Jason Greene di Red Hat ha lavorato con Enterprise Java in qualità di utente e collaboratore. Oggigiorno, l’illustre ingegnere si dedica a ciò che ritiene sia la prossima generazione di applicazioni Java nel cloud: il progetto open source Quarkus. Greene crede che questa impresa sia possibile in virtù del fatto che la tecnologia e l’ecosistema intorno a Enterprise Java “hanno creato importanti opportunità in termini di crescita e innovazione”. “Ritengo che gli standard e gli approcci open source adottati dalla community di Java abbiano condotto in fin dei conti alla creazione di questo ricco ambiente fatto di creatività e collaborazione”.
Questo pensiero incontra il parere favorevole di Stephen O'Grady, principal analyst e cofondatore di RedMonk. “A mio avviso, il tratto distintivo di Java non è la tecnologia in sé, ma la community che sorge intorno a essa. Senza questa risorsa, i numerosi individui e le organizzazioni alle sue spalle, Java non avrebbe mai raggiunto gli stessi traguardi”.
Oggi, la community continua a svolgere un ruolo importante nella definizione del futuro di Enterprise Java, sia nell'ambito della piattaforma Jakarta EE con Eclipse Foundation che, come nel caso di Greene e Clingan, dell'offerta di un contributo a progetti open source quali Quarkus e MicroProfile.
Nota del redattore: le dichiarazioni contenute in questo articolo sono state rilasciate dai soggetti che hanno offerto il proprio contributo e potrebbero non riflettere le opinioni dei rispettivi datori di lavoro.
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