Because We Had To

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L'hardware open source come punto di incontro tra arte e innovazione

Un incisore laser gigante. Un kit di sviluppo Arduino. Un hackerspace al femminile. Addie Wagenknecht, Rianne Trujillo e Stefanie Wuschitz vengono da contesti e hanno storie molto diverse tra loro, ma c'è una cosa che le accomuna: tutte e tre creano opere d'arte sfruttando componenti hardware open source. Dai paesaggi surreali del New Mexico alle gallerie d'arte di New York, ognuna si sta impegnando nel proprio campo per creare nuove comunità e abbattere gli ostacoli che da tempo limitano la partecipazione delle donne.

Addie Wagenknecht

Kilohydra 2, dalla serie Data and Dragons di Addie Wagenknecht

Addie Wagenknecht

RENDERE ACCESSIBILE L'INACCESSIBILE

Tutto è cominciato con l'iPhone.

Nel 2007 Addie Wagenknecht frequentava l'Interactive Telecommunications Program (ITP) alla New York University. L'iPhone, con il suo design elegante e l'immediatezza del touch screen, la affascinava. Sapeva di voler sperimentare con il multitouch: voleva usarlo, capirlo e, perché no, anche trasformarlo in qualcosa di nuovo.

Insomma, aveva voglia di mettere le mani in pasta.

Addie si rese conto di non essere la sola a voler testare e sviluppare per il nuovo hardware, ma comprese anche di non essere nella posizione per farlo. Il multitouch dell'iPhone infatti era una tecnologia proprietaria e gli strumenti per accedervi arrivavano a costare $ 100.000 nella maggior parte dei casi.

La studentessa, che già spendeva una somma considerevole per libri di testo e affitto, non poteva certo permettersi di investire una cifra simile per smanettare con l'iPhone.

Il sogno pareva finito ancora prima di cominciare. "Come si fa a rendere accessibile qualcosa di inaccessibile? Che alternative ho se non creare un progetto da zero o trovare qualcuno che lo faccia per me?" si domandava.

E fu così che, invece di abbandonare il sogno, Addie decise di creare da sola un suo progetto: cominciò a sviluppare un sistema multitouch utilizzando componenti software e hardware open source. Ma l'impresa si rivelò più difficile del previsto.

UN TIC NERVOSO

Addie è cresciuta nei primi anni Ottanta ed è figlia di quella generazione informatica. All'asilo giocava a "Oregon Trail" e quando il vicino di casa comprò la Nintendo cominciò a trascorrere ore davanti a "Super Mario Bros.", "Duck Hunt" e "Skate or Die!". Sua madre aveva un Macintosh SE. Era circondata dalla tecnologia e niente era considerato intoccabile.

Non ci volle molto prima che Addie si rendesse conto di poter usare la tecnologia che la circondava per creare arte. Tra gli altri programmi e giochi che utilizzava per esprimere la propria creatività, Kid Pix, un programma di disegno bitmap per Macintosh uscito nel 1989, le fu molto utile.

"Aveva suoni ed effetti fantastici e c'erano i pennelli e gli esplosivi. Si potevano creare dei disegni pazzeschi con Mac Paint," spiega Addie.

L'ambiente in cui crebbe, la libertà di sperimentare e la naturale inclinazione di Addie per le attività creative permisero all'arte di entrare a far parte della sua vita. Non sentiva l'obbligo di dover creare, per lei era un desiderio innato.

"Non so se ci sia stato un momento in cui si è manifestata la passione per l'arte. L'ho sempre vissuta come sorta di tic, qualcosa che sentivo il bisogno di fare, senza nessun motivo in particolare. È il mio modo di esprimermi e documentare ciò che mi circonda. Non ho mai pensato che potesse diventare un lavoro."

Studiò multimedia e informatica alla University of Oregon ed era convinta che sarebbe diventata una sviluppatrice web. Frequentò corsi per la programmazione di videogiochi e sognava di lavorare all'Electronic Arts, un pioniere nel settore dei videogiochi per il grande pubblico. Dopo il college lavorò per alcune case produttrici di videogiochi indipendenti ed era convinta che quella della programmazione sarebbe diventata la sua strada: sì un lavoro creativo, ma con una forte componente matematica.

"L'ho sempre vissuta come sorta di tic, qualcosa che sentivo il bisogno di fare, senza nessun motivo in particolare."

Seattle Black Hawk Paint performances per gentile concessione di Michael Clinard con licenza CC BY-NC-ND 2.0

Addie proseguì la sua carriera universitaria con l'ITP dove incontrò persone simili a lei, studenti che desideravano sperimentare, creare e fare a pezzi le cose. In questo contesto iniziò a valutare seriamente l'idea di intraprendere una carriera nel mondo dell'arte, ma sapeva anche di non avere né mentori né modelli che potessero farle da guida.

Poi un giorno incontrò uno spirito affine sia per quanto riguardava l'arte che la tecnologia.

Per una mostra all'ITP, Addie aveva realizzato un dispositivo per l'elaborazione dati con l'impiego di un laser, molto simile al progetto su cui un altro artista, James Powderly, stava lavorando.

Visto il progetto di Addie, James volle conoscerla. "Ciao, mi chiamo James Powderly. Sai che sto sviluppando un dispositivo molto simile al tuo, ma il tuo ha un'estetica migliore." E fu così che iniziò la collaborazione fra i due. Qualche mese più tardi, Addie si presentò al colloquio per accedere a uno stage al Eyebeam Art & Technology Center, e in quell'occasione rincontrò Powderly che faceva parte della commissione selezionatrice.

Powderly, incarnazione del lato punk rock dell'open source, divenne uno dei principali sostenitori di Addie e uno dei primi a difendere il suo lavoro. Con la sua positività contagiosa, la spronava a non abbattersi di fronte ai problemi, neanche davanti a quelli apparentemente irrisolvibili.

LA SOMMA DELLE NOSTRE PARTI

F.A.T. LAB e Nortd Lab

Durante il periodo trascorso all'Eyebeam, Addie si unì al Free Art & Technology (F.A.T.) Lab, un gruppo che puntava a divertirsi con la cultura, la tecnologia e l'arte open source e a trasmettere quella positività nelle proprie opere. Il gruppo si proponeva di creare opere d'arte e programmi che le persone potessero utilizzare liberamente al di fuori del laboratorio. Il gruppo non condivideva soltanto il prodotto finito, ma anche i processi e gli strumenti impiegati per la realizzazione.

Quello dell'arte è di norma un settore proprietario. Gli artisti tendono a tenere per sé la loro filosofia, le ispirazioni, i procedimenti perché desiderano offrire al pubblico qualcosa di unico. Andando nella direzione diametralmente opposta, F.A.T. Lab rendeva l'arte più accessibile, comprensibile e vicina al pubblico.

Uno dei progetti di hardware open source più famosi di Addie risale al periodo all'Eyebeam. Prima dello stage non aveva mai usato un incisore laser, perché come nel caso dell'hardware di sviluppo per l'iPhone, non poteva permetterselo. Ancora una volta, uno strumento necessario per creare era accessibile solo a chi disponeva di ingenti somme di denaro.

Addie quei soldi non li aveva.

Lei però aveva un'idea. Insieme a Stefan Hechenberger, conosciuto all'ITP, decise di rendere gli incisori laser più accessibili. E i due, con $ 20.000 raccolti attraverso Kickstarter, riuscirono a creare un incisore laser open source nel giro di sei mesi. Il Lasersaur era affidabile come gli incisori laser commerciali, con l'unica differenza che veniva messo a disposizione di tutti coloro — artisti, creatori, scienziati — che volessero utilizzarlo o migliorarlo.

Per creare l'infrastruttura che supportasse altri progetti open source come Lasersaur, Addie e Stefan fondarono Nortd Labs. Nortd si ispirava alle operazioni commerciali, aveva distinta base, istruzioni e un framework per la creazione e la condivisione dei progetti. I creatori di Nortd lanciavano nuovi progetti con la speranza che la community partecipasse in prima persona al loro sviluppo.

DEEP LAB

Come si vede nei suoi lavori, dal 2011 Addie cominciò a interessarsi di tecnologie quali crittologia e blockchain. Abbandonò la creazione in solitaria per dedicarsi alla ricerca di una community da cui imparare e con cui condividere la propria esperienza. Tuttavia, lavorando in hackerspace e partecipando a conferenze di crittologia si rese conto che l'ambiente era frequentato per la maggior parte da uomini. Addie sapeva di non essere l'unica donna a lavorare nel campo, ma dov'erano le altre? Di cosa si occupavano?

Al F.A.T. Lab su 25 partecipanti solo 2 erano donne. Se da una parte aveva instaurato un ottimo rapporto con i suoi colleghi uomini, che considerava come fratelli e che la incoraggiavano nel suo lavoro, dall'altra si domandava come sarebbe stato un gruppo al femminile e cosa avrebbe significato per il mondo della crittologia se ci fossero state più donne. Iniziò così a valutare l'idea di creare una community al femminile.

Nel 2014 Addie fu contattata dallo Studio for Creative Inquiry della Carnegie Mellon University (CMU). Il direttore del programma, Golan Levin, è un artista ed educatore che nelle su opere coniuga espressione artistica e tecnologia. Golan conosceva i lavori di Addie sulla sorveglianza: in particolare "Black Hawk Paint" una serie di dipinti realizzati con l'ausilio di droni (dipinti inclusi in Shellshock, la prima mostra individuale di Addie a New York); e "Asymmetric Love", un lampadario composto da telecamere a circuito chiuso e cavi Ethernet.

Entrambe le opere convinsero Golan che Addie sarebbe stata la candidata perfetta per una borsa di ricerca alla Andy Warhol Foundation for the Performing Arts.

Seattle Black Hawk Paint performances per gentile concessione di Michael Clinard con licenza CC BY-NC-ND 2.0

Con il sostegno economico e accademico di Golan, The Warhol Foundation e della CMU, Addie organizzò un raduno di una settimana dedicato alle donne. Scrittrici, artiste, ricercatrici e ingegnere di crittologia si incontrarono per discutere di tematiche quali privacy, sorveglianza, anonimato e aggregazione di dati su larga scala e di come influiscano negativamente su arte, cultura e società.

"Volevo radunare tutte in una stanza. Mettere a disposizione Wi-Fi e chiavi per vedere cosa sarebbe successo," spiega Addie. "Anche lui [Golan] era a favore del progetto. Ed è così che è iniziata. Alla fine ci siamo trovate a Carnegie Mellon ed è stato strano incontrarsi per la prima volta di persona."

Secondo le partecipanti, il collettivo Deep Lab fu creato:

"Perché vogliamo rimanere unite. Perché i primi computer erano donne. Perché non può essere altrimenti. Perché l'unione fa la forza. Perché vogliamo essere fedeli a noi stesse. Perché la condivisione va a vantaggio di tutti. Perché vogliamo scavare più a fondo. Perché noi ragazze vogliamo goderci la vita. Perché non dovremmo chiedere il permesso."

La settimana del raduno fu qualcosa di unico: in parte hackathon, in parte charrette e in parte microconferenza. Il lavoro che ne scaturì è la dimostrazione di ciò che si può ottenere quando si uniscono cultura aperta e umanità aperta. Sull'esperienza fu pubblicato un libro di 240 pagine, una raccolta video di 10 interventi tenuti dai membri del gruppo e un documentario da 18 minuti. Queste risorse sono disponibili sul sito di Studio for Creative Inquiry.

Libro Deep Lab di STUDIO for Creative Inquiry

"Perché vogliamo rimanere unite. Perché i primi computer erano donne. Perché non può essere altrimenti. Perché l'unione fa la forza. Perché vogliamo essere fedeli a noi stesse. Perché la condivisione va a vantaggio di tutti. Perché vogliamo scavare più a fondo. Perché noi ragazze vogliamo goderci la vita. Perché non dovremmo chiedere il permesso."

Ricercatrici cyberfemministe all'opera
Fotogramma dal documentario su Deep Lab
Addie Wagenknecht

LA CONQUISTA DI NUOVI MONDI

Il progetto Lasersaur valse a Addie la partecipazione come oratrice a uno dei primi Open Source Hardware Summit. Grazie a questi eventi, si fece strada nella community open source, conobbe potenziali collaboratori e con il tempo arrivò a diventare presidente del summit.

Addie ha saputo giocare bene le sue carte: ha avviato numerosi progetti per hardware open source e concluso accordi con gallerie d'arte in tutto il mondo. Sfrutta il suo successo per agevolare le future generazioni di artisti, e artiste in particolare, sperando che non si trovino più a dover affrontare le sue stesse difficoltà.

"Non penso alle mie conferenze come un momento autocelebrativo per mostrare il mio lavoro, ma come l'occasione di raccontare come funziona questo mestiere, di condividere le informazioni che io avrei voluto sapere all'inizio della carriera. L'arte è un business e per sopravvivere bisogna sapere come muoversi. Trovo curioso che all'università l'86% di studenti di arte siano donne, ma quando si passa all'ambito professionale la presenza di donne scende drasticamente al 2%. E le altre che fine hanno fatto?"

E le altre donne che fine hanno fatto?"

Addie fa anche da mentore ad artisti emergenti e tiene conferenze per liceali e studenti universitari che vorrebbero seguire questa strada. Dedica buona parte dei suoi interventi a quegli aspetti pratici che vengono spesso tralasciati: come montare un'installazione, come parlare con la stampa e con le gallerie, come archiviare il lavoro.

Addie fa anche da mentore a due giovani artisti appena laureati alla CMU. Grazie ai suoi agganci nel mondo dell'arte, Addie li sta aiutando a farsi conoscere e a contattare le gallerie per proporre i propri lavori.

La disponibilità di Addie deriva dalla convinzione che collaborando si possano ottenere non soltanto opere migliori ma che il supporto dei colleghi sia indispensabile per non lasciare i progetti incompiuti o peggio darsi per vinti e abbandonare il mondo dell'arte. Mostra agli artisti emergenti i retroscena del suo lavoro e li mette in contatto con artisti affermati che li possano aiutare e guidare. Insegna e crea processi da condividere con gli altri per semplificare il lavoro e utilizzare gli strumenti al meglio.

Addie durante il discorso di apertura al Open Source Hardware Association Summit 2017
Addie durante il discorso di apertura al Open Source Hardware Association Summit 2017

Addie ha dedicato la sua carriera all'ottimizzazione dei processi per la creazione di opere d'arte attraverso tecnologia, cultura e umanità aperte. È sempre stata convinta che non fosse necessario perdere tempo a ricreare cose che già esistevano, come il touch screen.

Nel 2008 Addie insieme a Stefan Hechenberger ha creato il multitouch CUBIT a Illuminazione Diffusa, una tecnologia multitouch faidate che prevedeva di puntare una luce a infrarossi su uno schermo da sopra o da sotto la superficie. CUBIT era progettato per aiutare a ridefinire la visione artificiale e abbandonare il paradigma del puntatore mouse. Grazie a componenti software e hardware open source, Addie è riuscita a programmare per l'iPhone e ha permesso ad altri di fare lo stesso.

Progetti come CUBIT e il Lasersaur hanno reso accessibile l'inaccessibile. Nonostante i prezzi astronomici delle tecnologie e l'ostruzionismo di alcuni colleghi, Addie è riuscita a creare gli strumenti che le servivano, li ha condivisi con la community e ha plasmato la futura generazione di creatori di hardware open source. Il suo lavoro è la dimostrazione che per creare opere durature che continuino a evolvere e modificarsi nel tempo, è fondamentale rompere le cose, sperimentare e capire come funzionano alle proprie condizioni, e condividere poi i risultati della ricerca con la community.

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Rianne Trujillo

Fotografia dei tavoli interattivi touch screen all'Anderson-Abruzzo Albuquerque International Balloon Museum

QUANDO LA CULTURA INCONTRA LA TECNOLOGIA

Rianne Trujillo ha trascorso l'infanzia immersa nella natura.

Se gli altri bambini passavano ore e ore davanti alla tv o si litigavano il computer di casa, Rianne andava in bici con gli amici alla scoperta dei paesaggi rocciosi del New Mexico.

Passava moltissimo tempo a esplorare la natura e a scoprire posti nuovi. Adorava disegnare — ispirata dalle opere di Van Gogh e Georgia O'Keeffe — e partire all'avventura con i nonni per qualche incredibile destinazione in New Mexico e negli stati confinanti. Insieme visitavano soprattutto musei e parchi nazionali, e sulla strada Rianne ammirava le ampie distese del New Mexico, le montagne, i burroni, le formazioni rocciose uniche e i tramonti spettacolari. Fece tesoro di queste esperienze e dell'opportunità di conoscere gente nuova e posti nuovi.

Non sapeva che di lì a qualche anno avrebbe progettato mostre per aiutare le persone a fare esattamente la stessa cosa.

METTERE IN MOSTRA L'OPEN SOURCE

Rianne è visiting instructor alla New Mexico Highlands University (NMHU). È anche sviluppatrice capo nel Cultural Technology Department Lab (CTDL), un programma di ricerca e sviluppo della NMHU che prevede la collaborazione tra facoltà e musei per la creazione di hardware open source da utilizzare nelle mostre. "In effetti, la cosa che mi appassiona davvero è l'apprendimento," spiega Rianne. "Da sviluppatrice dico che è fondamentale stare al passo con l'evoluzione tecnologica e l'unico modo per farlo è essere disposti a imparare sempre nuovi approcci e maniere di lavorare." Molti degli argomenti e dei framework che tratta in classe quest'anno serviranno da punto di partenza nella sua ricerca di soluzioni per gli istituti culturali.

Rianne durante il suo intervento al Open Source Hardware Association Summit 2017

"In effetti, la cosa che mi appassiona davvero è l'apprendimento."

Il team del CTDL lavora principalmente con musei storici e culturali del New Mexico e con parchi nazionali e siti storici in tutti gli Stati Uniti per creare soluzioni tecnologiche e di design.

Una di queste soluzioni è Museduino, un kit open source per lo sviluppo di componenti hardware realizzato interamente da CTDL.

Se hai mai visitato una mostra museale con sensori e pulsanti che bisogna premere per vedere i contenuti interattivi — ad esempio quali animali si sono estinti durante l'Era glaciale — hai già visto in pratica lo stesso tipo di tecnologia che Museduino permette di creare e implementare.

Rianne adora cimentarsi con i progetti particolarmente ostici, come quello per l'Acadia National Park del 2015. "Mi dà soddisfazione l'idea di abbandonare l'interazione basata su schermo e creare qualcosa di fisico per il mondo reale," spiega Rianne.

Il parco aveva chiesto al team del CTDL di creare un corrimano con un sensore tattile sulla destra e uno sulla sinistra, che una volta toccati dai visitatori avrebbero permesso loro di sentire e paragonare i suoni degli ambienti paludosi a quelli degli ecosistemi marini. La prima idea di Rianne e del suo team prevedeva di usare due sensori tattili racchiusi in un morsetto metallico posto sopra il corrimano. Teoricamente, questa soluzione avrebbe permesso ai visitatori di toccare i diversi componenti interattivi dell'opera. Il problema era che, avendo optato per un corrimano metallico, tutti gli elementi dell'opera conducevano elettricità, non solamente l'interruttore.

La conduttività ha quasi rovinato il progetto all'Acadia National Park
Sensore tattile capacitivo con Museduino
Dimostrazione del gioco di associazione uovo-uccello all'Acadia National Park

Il team era a un impasse. Ma doveva valutare altre opzioni, e doveva farlo in fretta perché Arcadia essendo sotto la gestione del governo federale aveva un budget stabilito.

Dopo moltissimi test per cercare di isolare l'interruttore dal corrimano, alla fine il team decise di ripiegare su pulsanti di plastica, che non soltanto erano più intuitivi da utilizzare, ma non ponevano problemi di conduttività. Installati i pulsanti, l'opera era completa.

Ugualmente impegnativo fu il progetto per il Grinnell College, anche se le difficoltà in questo caso furono di altra natura. Il progetto prevedeva di lavorare con 14 studenti su 13 diverse installazioni notturne per 5 giorni di fila, in Iowa a febbraio. Gli studenti del corso d'arte non erano pratici di elettronica quindi lo staff del CTDL ha insegnato loro i rudimenti di Arduino e mostrato cosa era possibile ottenere con i diversi sensori/attuatori. "Questa esperienza è stata utile per gli studenti, perché ha permesso loro di capire meglio come avrebbero potuto impiegare i sensori e gli attuatori nel loro lavoro," spiega Rianne.

Rianne e i colleghi però non avevano tenuto in conto gli effetti delle basse temperature sui componenti elettronici. Era febbraio, le temperature arrivavano a -5, e molti studenti avevano posizionato la loro installazione all'aperto.

Il team del CTDL aiuta Christine a piazzare la sua installazione su una panchina del Grinnell College
Le pecore insonni nella neve di Cheng

"A quel punto sono iniziati i problemi," racconta Rianne. "Molte delle location scelte non avevano accesso alla corrente e quindi siamo stati obbligati a spostare le installazioni altrove. Quelle che non si potevano spostare le abbiamo dovute alimentare a batteria o abbiamo usato delle prolunghe." Arduino è progettato per resistere a temperature inferiori allo zero, ma le batterie da 9 V duravano appena 35 minuti. Inoltre, per via del freddo i cavi erano troppo fragili per condurre elettricità, il nastro adesivo non si incollava più e i sensori non funzionavano.

Nonostante tutti i problemi, le installazioni furono un successo e così il tour continuò. Questa esperienza è servita da lezione a tutti: i ricercatori del CTDL hanno imparato che la prossima volta che lavoreranno in condizioni proibitive dovranno munirsi di dispositivi per scaldare le batterie, mentre gli studenti del Grinnell College hanno compreso che non sempre in questo lavoro fila tutto liscio ma che con un pizzico di creatività è possibile superare qualsiasi ostacolo.

"Mi dà soddisfazione l'idea di abbandonare l'interazione basata su schermo e creare qualcosa di fisico per il mondo reale."

ARTE PER TUTTI

Al CTDL capita anche di collaborare con istituti più piccoli, il cui obiettivo principale è la digitalizzazione del catalogo. I cataloghi online sono una risorsa preziosa per scoprire di più su storia e arte, soprattutto per chi non può visitare fisicamente il museo. Come hanno dimostrato Rianne e il suo team, esistono molti modi per rendere accessibili l'arte e la tecnologia non soltanto al pubblico, ma anche ai musei stessi.

Quando i musei utilizzano software e hardware proprietari, la tecnologia in cui investono rimane molto spesso inutilizzata, perché mancano le risorse per aggiornarla. Rianne e il CTDL sono convinti che l'utilizzo della tecnologia open source vada a vantaggio di musei e istituti culturali con budget e personale limitati, perché possono trarre il massimo da ciò che hanno. I software open source sono gratuiti, i componenti hardware costano una frazione di quelli proprietari e la documentazione approfondita sui progetti è consultabile online. Inoltre, lo staff del museo ha a disposizione tutte le risorse per risolvere direttamente eventuali problemi.

Dimostrazione di una cabina fotografica Raspberry Pi
Rianne a Denver

ABBATTERE GLI STEREOTIPI SULLA TECNOLOGIA

Ad ogni nuovo progetto, la priorità di Rianne è sempre il coinvolgimento del pubblico, come fare per incuriosirlo e quali tecnologie impiegare per esaltare collezioni esistenti. Non tutte le idee sono un successo, ma da tutte riesce a trarre un insegnamento, come dimostrano le esperienze all'Arcadia e al Grinnell College.

Secondo Rianne i musei dovrebbero rendere accessibili non soltanto le collezioni, ma anche le soluzioni hardware che utilizzano per la loro realizzazione.

Spiegando le installazioni, condividendo gli strumenti, i processi e i metodi, i musei e i professionisti del settore culturale aiuterebbero ad abbattere gli stereotipi sulla tecnologia: che è una disciplina ostica, che bisogna avere una laurea in informatica per capirla e usarla e che solo i tecnici possono metterci mano. Questi sono falsi miti che sarebbe ora di sfatare.

Per quanto quello della progettazione di hardware open source sia ancora un settore a maggioranza maschile, Rianne è fiduciosa che in futuro il numero di donne coinvolte aumenterà. Grazie in parte a programmi e makerspace inclusivi dedicati all'insegnamento delle discipline scientifiche, della programmazione e dell'informatica fisica, sta crescendo il numero di ragazze e donne che vorrebbero lavorare nel settore dell'hardware open source e in altri campi STEM.

Sebbene il rapporto tra la percentuale di uomini e di donne non sia cambiato in maniera significativa, è importante ricordare che, indipendentemente dal genere, siamo liberi di intraprendere la carriera che preferiamo. E se ti interessa la progettazione di hardware open source e ti piace quello che fai, non conta altro."

L'autrice e Rianne a Denver

"È importante ricordare che, indipendentemente dal genere, siamo liberi di intraprendere la carriera che preferiamo."

Il lavoro di Rianne e il suo percorso di apprendimento non si fermano. Al momento lei e il team del CTDL stanno lavorando per migliorare Museduino: hanno deciso di sostituire il vecchio software di progettazione ExpressPCB con Kicad e si preparano per la prossime modifiche alla scheda e per le implementazioni sui nuovi progetti.

Inoltre, Rianne insegna la materia che l'ha per prima avvicinata all'hardware open source: il physical computing.

Quando Rianne era piccola adorava viaggiare con i nonni e disegnare i paesaggi del New Mexico. Oggi che è cresciuta usa hardware e principi open source per trasmettere a quante più persone possibili il suo amore per l'apprendimento.

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Stefanie Wuschitz

L'EMANCIPAZIONE ATTRAVERSO LA PARTECIPAZIONE

Quando una persona si guarda intorno e si rende conto che nessuno nella stanza le assomiglia, questa persona può sentirsi contemporaneamente sopraffatta e molto sola. Stefanie Wuschitz lo sa bene.

Preso il diploma, Stefanie si rese conto che non aveva né le capacità per programmare i suoi progetti multimediali, né tantomeno i soldi per assumere qualcuno che se ne occupasse al posto suo. Perciò fece quello che fanno in molti: si mise a cercare una community che le insegnasse. Cominciò a frequentare hackerspace, incontri, laboratori e workshop.

Ma si sentiva sola, sentiva il disagio di essere l'unica donna nella stanza.

Però all'Eclectic Tech Carnival, un raduno organizzato dalla collettivo di programmatrici femministe Gender Changers, era tutta un'altra storia. Il gruppo era spumeggiante, tostissimo, composto perlopiù da donne sulla sessantina.

"…erano tutte donne, o comunque persone che avevano scelto di identificarsi con il genere femminile. Non avevo mai visto programmatrici così. Sostenevano a spada tratta l'open source e avevano le idee chiare sul perché scegliere l'open source, perché Linux, e cosa significava in termini di emancipazione, sull'importanza di poter creare e applicare correzioni in autonomia."

Vedere così tante donne che utilizzavano le tecnologie open source per realizzare i loro progetti, spinse Stefanie a orientarsi in quella direzione. Nel frattempo cominciò a farsi strada in lei un'idea: non sarebbe bello avere un posto tutto l'anno in cui ritrovare la stessa energia e passione dell'Eclectic Tech Carnival?

"Sostenevano a spada tratta l'open source e avevano le idee chiare sul perché scegliere l'open source, perché Linux, e cosa significava…"

Tech ladies di Stefanie Wuschitz

Al termine dell'Eclectic Tech Carnival, Stefanie si iscrisse all'Interactive Telecommunications Program (ITP) della New York University per imparare come fondere arte e tecnologia… tecnologia open source, ovviamente. Il gruppo all'ITP era molto eterogeneo: designer, attori, scrittori, esperti di tecnologia, equamente diviso tra uomini e donne, e con un gran numero di studenti stranieri. Il direttore del programma Red Burns li incoraggiava a collaborare fra loro, a confrontarsi, a imparare l'uno dalle esperienze dell'altro.

Successivamente Stefanie si trasferì in Svezia per uno stage all'Humlab, un programma di digital humanities pensato per artisti e designer. Qui Stefanie co-fondò Mz* Baltazar's Laboratory, uno spazio dove le donne potevano sviluppare i loro progetti con l'ausilio di tecnologie open source e ritrovare tutto l'anno lo spirito stimolante dell'Electric Tech Carnival; ma anche uno spazio dove lei poteva continuare il suo progetto di programmazione Arduino cominciato all'ITP. Il suo obiettivo era quello di creare uno spazio dedicato alla creazione di arte e tecnologia dalla prospettiva femminile.

L'INCONTRO TRA FEMMINISMO, ARTE E TECNOLOGIA

Le tematiche principali nel lavoro di Stefanie sono: il femminismo; il corpo e i modi in cui l'arte può aiutare a conoscersi meglio; la collaborazione, la condivisione di risorse e quali cambiamenti a livello sociale possono derivare da questo nuovo approccio aperto; l'espressione di sé, il desiderio di far sentire la propria voce, di partecipare alla vita pubblica e di mettere in discussione i pregiudizi sull'identità.

Durante un viaggio in Italia quando aveva 15 anni, Stefanie vide un'opera dell'artista svizzera Pipilotti Rist. Il video "Ever is Over All" mostra un donna vestita di azzurro che cammina per la strada a rallentatore. Sorride, saltella, sembra felice. Poi all'improvviso, senza nessun motivo, distrugge il finestrino di un'auto con un martello a forma di fiore. Una poliziotta che assiste alla scena non reagisce, anzi le fa un cenno di saluto e continua per la sua strada.

Pipilotti Rist, Ever Is Over All, 1997
© Pipilotti Rist; per gentile concessione dell'artista, Luhring Augustine, New York, e Hauser & Wirth.
Pipilotti Rist, Ever Is Over All, 1997
© Pipilotti Rist; per gentile concessione dell'artista, Luhring Augustine, New York, e Hauser & Wirth.
Immagine digitale © The Museum of Modern Art/licenza di SCALA / Art Resource, NY

"Wow, una donna aggressiva e felice," aveva pensato Stefanie ai tempi. "E non finisce neanche in prigione!"

Il video fu una rivelazione per Stefanie che vide per la prima volta il potere le donne, e vide il potere dell'arte, uno strumento che permetteva libertà di espressione totale, anche se questo disturbava lo spettatore.

L'aspetto tecnico la emozionò quanto le immagini. La direzione artistica del video e la commistione di diversi formati e media la colpirono. Fu così che iniziò a studiare quelle tecniche da autodidatta e al contempo apprese i rudimenti dell'arte digitale e delle tecniche di montaggio video grazie a un insegnate d'arte del liceo. Stefanie capì presto che le tecnologia poteva avere moltissime applicazioni in campo artistico. Si poteva usare come strumento, come supporto o poteva diventare il soggetto dell'opera.

"Essere in connessione con sé stessi è molto importante ed è elemento fondamentale anche per il Mz* Baltazar's Laboratory. Non ci limitiamo a organizzare mostre e workshop, o a invitare artisti e curatori esterni. Noi concettualizziamo anche esibizioni e idee. Per questo motivo possiamo dire che la maggior parte dei membri del team si occupa contemporaneamente di ricerca, femminismo e arte."

Stefanie e Mz* Baltazar's Laboratory

Per questo motivo possiamo dire che la maggior parte dei membri del team si occupa contemporaneamente di ricerca, femminismo e arte."

UNA STANZA TUTTA PER SÉ

Stefanie co-fondò Mz* Baltazar's Laboratory dopo che l'esperienza all'Eclectic Tech Carnival le aveva dimostrato le potenzialità del lavoro di squadra, della condivisione e l'importanza di avere una rete di supporto in questo mestiere. Il suo obiettivo era quello di creare uno spazio dove le donne e tutte le persone che si identificano con il genere femminile potessero progettare ed esporre installazioni artistiche create con l'ausilio di strumenti elettronici e hardware open source.

Durante il soggiorno in Svezia organizzò una sua versione dell'Eclectic Tech Carnival su modello di quello delle Gender Changers, e l'affluenza fu pazzesca. Era entusiasmante vedere donne, anche molte diverse fra loro per origine, provenienza, campo di specializzazione, lavorare fianco a fianco. Dato il successo dell'evento, Stefanie pensò di portare avanti l'iniziativa con incontri settimanali.

Inizialmente, alcuni degli amici e colleghi uomini di Stefanie partecipavano agli incontri ma lei si rese conto che a causa della presenza maschile molte artiste si stavano tirando indietro perché avevano l'impressione che il loro spazio fosse stato in qualche modo violato. Infatti, nel momento in cui Stefanie limitò l'accesso unicamente alle donne — anche transgender e persone con identità non-binaria — le donne tornarono in massa, piene di idee e progetti da realizzare.

"Quando hanno avuto accesso a tecnologie e hardware open source per prima cosa non hanno progettato un robot o una macchina, ma dei mostri sputafuoco. Ricordo di aver pensato: 'E così che voglio usare la tecnologia'."

"Quando hanno avuto accesso a tecnologie e hardware open source per prima cosa non hanno progettato un robot o una macchina, ma dei mostri sputafuoco. Ricordo di aver pensato: 'E così che voglio usare la tecnologia.' Non voglio utilizzarla in modo convenzionale, solo per risolvere problemi, voglio che abbia anche un lato artistico."

Oggi Mz* Baltazar's Laboratory organizza sia workshop e che mostre.

Se una donna desidera imparare ad esempio a utilizzare strumenti di mappatura open source, a installare Linux o a utilizzare strumenti audio open source, le basta andare al Lab e lì troverà tutto il supporto di cui ha bisogno. Il Lab vuole essere uno spazio sicuro per le principianti — dalle artiste agli inizi alle semplici curiose che non hanno mai messo piede in una galleria d'arte o in un hackerspace — uno spazio positivo dove le donne possano essere sé davvero stesse, possano esprimere le proprie idee apertamente, possano discutere argomenti significativi sapendo di essere ascoltate e capite.

Il Lab si propone di abbattere gli stereotipi di genere che circondano il mondo dell'informatica, secondo cui saldare, programmare e sperimentare con componenti tecnologici sarebbero appannaggio maschile.

"Ciascuna di loro [le partecipanti] si identifica con le altre, si rispecchia nelle altre; è una specie di effetto clonazione," spiega Stefanie. "[le partecipanti] capiscono di non essere sole e pensano: 'Se le altre, che sono proprio come me, hanno realizzato questo o programmato quell'altro, allora posso farlo anche io.' Spesso il più grande ostacolo all'apprendimento siamo noi stesse che ci poniamo dei limiti, ci tiriamo indietro per paura di non avere le capacità o di non avere il diritto di stare dove stiamo."

Per questo motivo Stefanie e le sue colleghe hanno progettato uno spazio sicuro e protetto che consenta di dissipare queste paure. E sta funzionando.

"[le partecipanti] capiscono di non essere sole e pensano: 'Se le altre, che sono proprio come me, hanno realizzato questo o programmato quell'altro, allora posso farlo anche io.'"

Le donne del Mz* Baltazar's Laboratory
Stefanie durante un workshop al Mz* Baltazar's Laboratory, gennaio 2018

Avviare Mz* Baltazar's Lab non è stato facile. L'Austria sta attraversando grandi cambiamenti politici e questo potrebbe avere serie conseguenze sulle organizzazioni come Mz* Baltazar's Lab i cui programmi d'arte dipendono dai finanziamenti pubblici. Al momento il Lab non prevede una quota di iscrizione e Stefanie spera di poter lasciare le cose come stanno.

Inoltre, il Lab ha qualche problema di organizzazione interna: è complicato per un gruppo di artiste freelance riuscire a mantenere orari regolari, e la direzione del Lab cambia spesso.

Tutti questi problemi potrebbero causare la fine dell'hackerspace femminista. Ma Stefanie continua a sostenere la necessità di uno spazio come questo dedicato alle donne interessate all'utilizzo di hardware e software open source. Ed è convinta che grazie alle donazioni, ai finanziamenti privati e pubblici, e alle idee creative questo spazio continuerà a vivere.

Fino a poco tempo fa non esistevano luoghi di incontro per Stefanie e le altre artiste digitali come lei. Così Stefanie questo luogo se lo è creato. E grazie alla passione, all'esempio di altre donne e artiste, e al supporto di donne con idee affini alle sue, è riuscita a mettere in piedi e a mantenere uno spazio creativo tutto al femminile all'insegna dell'accessibilità e dell'inclusione.

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"Cosa significa open source?"

Addie Wagenknecht

"Open source significa condividere le informazioni perché siano replicabili. Ha a che fare con l'idea di trasparenza, è uno stile di vita. Chi sceglie l'open source, deve viverlo fino in fondo."

Scopri di più su Addie

Rianne Trujillo

"Per me il punto focale è la possibilità di condividere, ma anche la libertà di modificare e aggiornare tecnologia, software e strumenti grazie all'open source. La condivisione delle risorse va a vantaggio di tutti."

Scopri di più su Rianne

Stefanie Wuschitz

"L'open source incoraggia la progettazione creativa. Che per me significa in generale l'atto di appropriarsi di qualcosa che già esiste e di modificarla rendendola più nostra, per poi continuare il ciclo di condivisione.

Scopri di più su Stefanie

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